Il Trattato Transatlantico TTIP sul commercio e gli investimenti: guadagni ad un alto prezzo
Autore: Pierre Varasi
19/03/2015
Il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP, da ‘Transatlantic Trade and Investment Partnership’) è un accordo commerciale di libero scambio tra Stati Uniti ed Unione Europea. In corso di negoziazione dal giugno 2013, dopo anni di preparazione informale, dovrebbe essere completato entro il 2015, o almeno così sperano i suoi sostenitori. Le critiche, infatti, sono dure, e arrivano da più fronti.
Il TTIP viene ufficialmente definito dall’UE come un accordo commerciale e per gli investimenti, con l’obiettivo di “aumentare gli scambi e gli investimenti tra l’UE e gli Stati Uniti realizzando il potenziale inutilizzato di un mercato veramente transatlantico, generando nuove opportunità economiche di creazione di posti di lavoro e di crescita mediante un maggiore accesso al mercato e una migliore compatibilità normativa e ponendo le basi per norme globali”. Un trattato che, nel caso fosse approvato, potrebbe essere esteso ad altri partner primari dei due colossi europeo e statunitense.
Partiamo da alcuni dei suoi punti principali: l’apertura dei mercati statunitensi alle imprese europee, la riduzione degli oneri amministrativi per le imprese esportatrici (i dazi), la definizione di nuove norme per rendere più agevoli export, import ed investimenti. Per semplificare, il trattato aprirebbe una nuova zona di libero scambio, semplificandone e migliorandone le procedure.
In economia gli strumenti della politica commerciale sono suddivisi tra: strumenti tariffari (dazi sulle importazioni e sussidi alle esportazioni), strumenti quantitativi (contingentamenti, cioè quote massime, e restrizioni volontarie), barriere non tariffarie (standard produttivi, sanitari, ecc.), il dumping (la vendita sottocosto sui mercati esteri) e infine misure ritorsive (contro pratiche scorrette di alcuni paesi o imprese). Il TTIP vorrebbe riuscire ad uniformare le barriere non tariffarie, portando precedentemente a dazi nulli sugli scambi bilaterali, e a mire anti dumping. Anche gli appalti pubblici saranno aperti ad imprese ed aziende straniere.
Quello che Unione Europea, Stati Uniti ed industrie vogliono ottenere è la creazione di nuovi posti di lavoro, la riduzione dei prezzi per i consumatori, aumentando allo stesso tempo la scelta in quanto ai prodotti. Solo in Italia si prevede che il trattato porterebbe ad una crescita del PIL tra lo 0,5 e il 4% e ad un aumento dell’occupazione. In totale, ci si aspetta una crescita dell’export del 28% circa, pari a 187 miliardi di euro. Effetti che in un periodo economico quale quello della crisi porterebbero certamente ad una crescita non indifferente e, ottimisticamente, ad un’uscita completa dalla crisi stessa. I benefici sarebbero infine burocratici ed amministrativi, e anche la maggior concorrenza potrebbe portare a più innovazione.
Il TTIP però, come prevedibile, deve affrontare pesanti critiche. Associazioni Slow Food, economisti, agenzie private e cittadini muovono critiche che non possono essere ignorate.
Le critiche si basano su ragioni di ogni tipo. Partiamo dal fatto che il TTIP sia stato per lungo tempo un accordo segreto nei suoi contenuti, cosa che ha portato ad una mancanza di trasparenza, almeno fino al 7 gennaio di quest’anno, quando la Commissione Europea ha pubblicato i testi integrali dei negoziati.
Le critiche più specifiche a ciò che il trattato comporterebbe riguardano, in particolare, l’uniformazione delle barriere non tariffarie: gli Stati Uniti usano, dichiaratamente, OGM, ormoni per le carni e un’altissima quantità di pesticidi, per esempio. I produttori di generi alimentari statunitensi non devono attenersi agli stessi standard di salvaguardia ambientale o di salute del bestiame della controparte europea.
Chiaramente, nel processo di uniformazione degli standard produttivi, i consumatori europei ci perderebbero, vedendo aumentare, nei propri supermercati, prodotti di minor qualità rispetto ad oggi, a causa dell’introduzione di prodotti geneticamente modificati vietati, per ora, in Europa. L’Unione Europa applica poi principi quali quello ‘dall’azienda agricola alla forchetta’ (farm to fork) e il principio di precauzione. Il primo consiste in un controllo di ogni passaggio della produzione, sempre monitorata e tracciabile.
Negli USA, invece, vengono controllati solo i prodotti finali. Il secondo riguarda invece un’altra differenza fondamentale: mentre in Europa è possibile ritirare un prodotto dal mercato se sussiste il rischio che possa costituire un pericolo per la salute, anche nel caso manchino dati scientifici, negli USA in assenza di una prova chiara di correlazione tra prodotto e danno l’alimento resta in commercio. Inoltre, in Europa è l’azienda che cerca di immettere il proprio prodotto nel mercato a doverne dimostrare la sicurezza; negli Stati Uniti è l’autorità pubblica a dover richiedere una prova di dannosità, cosa che avviene raramente.
Anche la crescita economica che tanto viene promossa dai sostenitori del trattato non è a prova di critiche: molti economisti sostengono che i posti di lavoro diminuirebbero, invece che crescere, per esempio a causa della scomparsa delle norme sulla preferenza nazionale in quanto ad appalti pubblici. Stiglitz, economista noto per le sue critiche al Fondo Monetario Internazionale, sostiene che ‘gli Stati Uniti, in realtà, non vogliono un accordo di libero scambio, vogliono un accordo di gestione del commercio che favorisca alcuni specifici interessi economici’.
I controlli sulla qualità dei prodotti, alimentari e farmaceutici in primis, restano comunque il centro delle tesi degli oppositori al trattato. La domanda è se sacrificare alcune normative e standard, aprendo completamente ai mercati statunitensi, allo scopo di far crescere l’economia delle due aree.
LINK
- EU (European Union)
FONTI :
- http://ec.europa.eu/index_en.htm (European Commission – Trade)
- ilpost.it “che cos’è il TTIP”
- http://stop-ttip-italia.net/