BREXIT: UN ANNO DOPO
QUAL È LA SITUAZIONE DEL REGNO UNITO DOPO IL REFERENDUM ?
Autore: Lorenzo Giusepponi
Traduzione a cura di Lorenzo Giusepponi
Novembre 2017
Il 23 giugno 2016, una leggera maggioranza dell’elettorato britannico ( il 51,9 % ), andando contro le previsioni dei sondaggisti e di gran parte dei politici, votava per uscire dall’ Unione Europea. Non appena emerso il risultato del referendum, la sterlina ha iniziato a perdere quota. David Cameron annunciava le sue dimissioni e la collega Theresa May assumeva il ruolo di presidente. Mentre il panico si diffondeva, la Banca d’Inghilterra, costretta a intervenire per stabilizzare la situazione, prometteva iniezioni di liquidità nel sistema bancario. Per come stanno ora le cose, il Regno Unito lascerà l’UE il 29 marzo 2019. A un anno dalla Brexit , qual è stato dunque, fino ad oggi, il vero impatto del voto sull’ economia?
Quadro macroeconomico
Durante la notte della decisione, la sterlina ha subito la più grande perdita rispetto al dollaro mai registrata in un solo giorno, raggiungendo il minimo in 31 anni. Ad oggi, la valuta si attesta a $1,33. Tuttavia, per il momento, gli esportatori hanno un doppio vantaggio, che risiede sia nella maggior debolezza della sterlina sia nel fatto che le tariffe verso l’UE non abbiano subito alcun mutamento.
Il piano che il governo britannico predisporrà nel prossimo futuro potrebbe influenzare l’economia del Paese. Mentre da un lato la svalutazione rappresenta un beneficio per gli esportatori, dall’altro comporta anche l’ aumento dei costi delle importazioni, ragion per cui l’inflazione interna sta aumentando più velocemente rispetto ai salari dei lavoratori, determinando così una restrizione degli standard di vita. Anche gli investimenti delle imprese hanno risentito del referendum, poiché queste sono incerte riguardo ai futuri accordi commerciali tra Regno Unito e UE e alle minacce riguardanti tariffe e barriere doganali.
I consumatori britannici si sono dimostrati inaspettatamente resistenti dopo il referendum, resistenza che ha permesso al PIL di crescere ed evitare la recessione. In realtà, l’economia è cresciuta dello 0,7 % nell’ultimo trimestre del 2017. Eppure, dall’inizio del nuovo anno, vi sono stati evidenti segni di scoraggiamento da parte degli acquirenti a causa del progredire dell’inflazione, che, a maggio, ha raggiunto il 2,9 %. Nell’ultimo trimestre del 2017, le vendite al dettaglio, una componente molto importante del consumo, sono scese dell’1,4 %.
Banche e servizi finanziari
Richard Gnodde, amministratore delegato della filiale europea di Goldman Sachs, ha affermato che, nel contesto del suo piano d’emergenza, la banca americana, che attualmente da lavoro a 6000 persone a Londra, sposterà centinaia di dipendenti fuori dalla città ancor prima che qualsiasi accordo venga fatto. Altri hanno già adottato misure ancor più drastiche. Transferwise, una delle più grandi imprese del fintech in Europa, ha dichiarato di spostare le sue sedi europee da Londra all’ Europa continentale prima del marzo 2019, in modo da mantenere l’accesso al mercato unico.
Industria automobilistica
Spesso l’industria automobilistica è altamente esposta a causa dell’integrazione a livello europeo delle sue catene di approvvigionamento e della sua dipendenza dai lavorati stranieri, ed è pertanto considerata come uno dei settori più vulnerabili nel caso di un’uscita dal mercato unico. L’adozione del regime tariffario dell’Organizzazione Mondiale del Commercio da parte del Regno Unito potrebbe portare all’introduzione di una tariffa del 10 % sui veicoli finiti. A marzo, uno studio condotto da PA Consulting ha dimostrato che se i produttori dovessero scaricare questo costo direttamente sui consumatori, il prezzo di un nuovo veicolo, tenuto conto di tutte le fasi della produzione, potrebbe salire a £ 2.372 per ogni automobile.
Edilizia e industria manifatturiera
Così come l’industria automobilistica, anche l’edilizia e l’industria manifatturiera si preparano a una consistente perdita, soprattutto nel caso in cui la Brexit dovesse comportare la fine della libera circolazione del lavoro. In un report pubblicato a marzo, la Royal Institution of Chartered Surveyors ha affermato che quasi 200.000 posti di lavoro in questi settori andrebbero perduti se al Regno Unito fosse negato l’accesso al mercato unico. Anche le camere di commercio britanniche e la CBI ( confederazione delle industrie britanniche ) hanno seriamente avvertito circa un possibile impatto della Brexit su alcune industrie. Nel 2016 circa 117.000 cittadini europei hanno lasciato il Regno Unito, 31.000 in più rispetto al 2015, il più alto valore mai registrato dal 2009.
Settore alimentare
Più della metà del cibo consumato nel Regno Unito è importato, ciò significa che la caduta post Brexit della sterlina andrà a spremere l’ industria alimentare. I fornitori hanno visto i loro costi aumentare, il che li spinge a scaricarli sui consumatori, d’altra parte i supermercati puntano a mantenere i prezzi quanto più bassi possibile in modo tale da mantenere i loro profitti.
L’opinione dei britannici riguardo la Brexit
John Twyman, sondaggista presso YouGov, sostiene che, in generale, le persone non hanno cambiato idea rispetto al voto espresso lo scorso anno. Un fatto interessante è che il 26% di coloro che avevano votato contro credono che il Regno Unito debba continuare sulla strada dell’uscita dall’ UE, poiché così ha votato la maggioranza, sostiene. Tuttavia, aggiunge che la situazione politica è “molto fluida” e, a seconda di come andranno le negoziazioni, tali opinioni potrebbero cambiare con facilità.
Le negoziazioni tra Regno Unito e UE
Le trattative tra Regno Unito ed Europa sono già iniziate e continueranno per gran parte dei prossimi dieci anni. Non si sa se il Regno Unito adotterà lo status di “ parzialmente associato ” come Norvegia e Svizzera, o se raggiungerà un accordo eccezionale. Ad ogni modo, è probabile che siano poche le politiche soggette a cambiamento, e quelle che cambieranno, lo faranno, presumibilmente, a vantaggio dell’Europa e non certo del Regno Unito. Tali pronostici derivano dall’analisi di due importanti fattori che, secondo i politologi, strutturano le questioni economiche e politiche mondiali: interdipendenza e influenza.
Attualmente l’Unione Europea è fondata su un mercato unico con regolamenti condivisi, mentre la partecipazione a ulteriori politiche, come l’euro, la difesa collettiva, la libera circolazione di beni, servizi, capitali e lavoro all’interno dello spazio Schengen, la sicurezza interna, l’immigrazione da Paesi extracomunitari, è facoltativa. I leader britannici sono tentati a selezionare le politiche, accogliendo solo quelle gradite. Londra ha proposto di riprendersi il controllo della pesca, dell’agricoltura, dei rapporti commerciali con l’estero e, in particolar modo, della politica migratoria, che ritiene svantaggiosa. Ovviamente, l’Europa non permetterà al Regno Unito di trattare tali politiche come opzionali. Di conseguenza, la prima ragione per cui è improbabile che la Brexit produca ulteriori cambiamenti politici è che il Regno Unito, nonostante si sia per molto tempo rifiutato di accettare gran parte delle politiche europee, è strettamente vincolato all’ UE rispetto a quelle a cui invece partecipa. Il Regno Unito ha bisogno delle leggi liberali dell’UE perché ne trae beneficio, il Paese necessita infatti che i Paesi continentali garantiscano l’accesso ai suoi esportatori, fornitori di servizi e individui con istruzione. È improbabile che il Regno Unito riesca a strappare molte concessioni da un’Europa di gran lunga più grande e dalla quale è asimmetricamente dipendente. Quasi il 50% delle esportazioni britanniche sono dirette in Europa e ammontano al 13 % del PIL britannico, mentre le esportazioni europee verso il Regno Unito rappresentano solo il 4 % del PIL europeo. In secondo luogo, la rapida ratifica di accordi commerciali con Paesi extra-europei, suggerita da alcuni conservatori, e diretta a potenziare la forza contrattuale del Regno Unito, sarebbe alquanto inefficace, dal momento che tali accordi richiedono solitamente un decennio o più per essere negoziati, e il Regno Unito da solo è così debole che difficilmente riuscirebbe a esercitare più influenza sugli Stati Uniti o la Cina dell’Unione Europea.
Il Regno Unito si trova in una difficile posizione contrattuale, la sua economia e sicurezza sono troppo profondamente vincolate all’Europa e la sua forza contrattuale sul piano internazionale è troppo limitata. In teoria, il Regno Unito potrebbe portare avanti la sua minaccia di lasciare l’UE, ma in pratica, ciò che rimarrà al suo stato attuale è più di ciò che cambierà.
Fonti articolo ” BREXIT: UN ANNO DOPO ” :
- www.indipendent.co.uk
- www.washingtonpost.com
- www.bbc.co.uk
- www.theguardian.com
- www.economist.com
- www.cityam.com